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Città della Pieve. “Gigi Bobicchia”. Quando se ne vanno i simboli di un paese

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Quando succede che un paese viene colpito in profondità da una morte? Succede quando muore una persona molto conosciuta ed importante, che ha fatto molto per i suoi concittadini nella cosa pubblica e o nella professione, nel lavoro che ha svolto. Succede quando magari il modo in cui avviene la dipartita ha delle caratteristiche di violenza o di ingiustizia particolari. Anche noi come giornale non parliamo di tutte le morti dei pievesi. Non lo potremmo fare per limiti logistici, anche volendolo. Ma non lo facciamo anche per scelte che abbiamo fatto all’inizio. Non parliamo di morti, per esempio, quando queste suscitano la morbosità diffusa, perché non vogliamo alimentarla. Anche se c’è chi lo fa. Ne parliamo, invece, quando se ne vanno pezzi di storia della città o pezzi della città viva e attiva. Potrebbe quindi sorprendere qualcuno, l’eco che ha avuto una recente scomparsa qui a Città della Pieve, purtroppo, anche questa, a causa della dannatissima pandemia.

La scomparsa di Luigi Scarpanti, infatti, a tutti noto come “Gigi Bobicchia”, ha colpito molto i pievesi. Basta guardare quanto se ne è parlato nei vari social. Ora Gigi, non è mai stato un personaggio presente nella scena pubblica, politica o amministrativa o nelle varie associazioni che pullulano a Città della Pieve, che portano ad una certa notorietà. Era semplicemente il proprietario ed il gestore, prima insieme alla madre, poi da solo, di un piccolo, minuscolo, negozio di stoffe, da sempre situato all’angolo tra via Vannucci, Il Casalino, e Piazza Plebiscito. L’angolo fra Palazzo Orlandi e Palazzo Corgna di fronte.

E allora perché, ci si potrebbe chiedere, questa eco? Solo perché in tutte le ore di apertura era sempre presente, spesso parlando con qualcuno, facendo “crocchio”, davanti o accanto l’ingresso del suo negozio, nello spazio incrociato del bar, delle scalette del Duomo, dello spigolo di Palazzo Corgna? Forse perché salutava garbatamente tutte le persone che passavano e ripassavano, in quel triangolo in cui si congiungono le direttrici principali che segnano il centro storico pievese, quella che viene da San’Agostino e per il casalino ed il Vecciano, va verso Perugia e quella che da San Pietro per Via Garibaldi va verso l’antica Porta Perugina e prende le Monache e la prima zona residenziale Pievese, verso Santa Lucia e Corleone?

Un percorso che Gigi, ha fatto per decenni, nei due sensi, quasi sempre alla stessa ora, quando abitava in fondo a Via Santa Lucia, prima di trasferirsi in Piazza Matteotti. Ed era un percorso che faceva spesso fischiettando, perché c’è stato un tempo in cui la gente fischiava e cantava, ma non con il karaoke, no, semplicemente, in casa, in bottega o per strada e Gigi era un gran fischiatore.

Ci chiedevamo il perché di questa eco dunque. Certo anche perché quasi tutte le donne sicuramente, ma anche noi maschietti, con mamme, sorelle o mogli e compagne, siamo stati una volta dentro quel “buco di negozio” dove c’era ogni tipo di stoffa, nel negozio o nel magazzino.

Soprattutto quando la stoffa si comprava per far cucire un vestito, un cappotto o una tovaglia, per la Cresima e per la Comunione, o per ogni altra grande occasione. Quando il “Pret a porter” era ancora da venire, e c’erano ancora diverse sarte e diversi sarti, che “facevano i vestiti”, ti prendevano le misure, te li misuravano diverse volte nel corso della fattura. Quando il commercio non si era concentrato e la grande distribuzione non aveva ancora vinto.

Già la grande distribuzione non aveva ancora vinto e nei centri storici, pullalavano i negozi ed i clienti. Amazon e gli acquisti in rete erano ancora fantascienza.

Ecco forse sta qui la chiave di questa grande eco che ha avuto la morte di Gigi.

“Gigi era l’ultimo dei romantici.O almeno era come lo vedevo io. Un ribelle, dal viso indatabile, con i Ray-Ban a goccia e l’immancabile sedia, che non si era piegato al capitalismo e manteneva in piedi una manciata di metri quadrati con le stoffe piegate dal pavimento al soffitto. “

Così ha scritto una mia amica di facebook, Federica Lepri, secondo me cogliendo gran parte della ragione.

Gigi ci è apparso, lo abbiamo vissuto come l’”ultimo dei romantici” l’ “ultimo dei resistenti” a questo cambiamento a questi cambiamenti vorticosi, cui ci adattiamo, ma che in qualche modo vorremmo fermare o far andare per un verso, per un verso più giusto, più umano, direi più rispettoso.
Ci ha colpito, ci costa la scomparsa di Gigi perché è stato, in parte anche involontariamente, una parte di noi, l’ha rappresentata, l’ha messa in scena, quasi con tigna, denunciando l’oltraggio dei tempi. L’ha fatta vivere sulla scena del paese, in pubblico, per sé, ma anche per noi o almeno per tutti quelli che vorrebbero che qualche nostra radice, qualcosa del passato, restasse. Quella parte di noi che ancora non riesce o non vuole staccarsi dal ‘900 e vorrebbe un 2000 meno incerto.

Anche per questo, Gigi, ci mancherà, perché se ne è andato davvero, quello che a pieno titolo possiamo definire un “concittadino”, un “ compaesano”. E sì, quando se ne va un “compaesano” anche un pezzo di “paese” se ne va.

Gianni Fanfano

PS:La foto di copertina è stata estratta da Marco Possieri dal suo archivio, all’interno di una più grande. Io poi ho dovuto ingrandirla per esigenze del format. La resa quindi non è ottimale. A Marco va comunque il mio ringraziamento. 

La foto nel corpo dell’articolo è stata postata da Giuseppe Russo nella pagina “I love Città della Pieve”  

 

 

 

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