Contro le opposizioni interroganti, contro tutta Città della Pieve a cominciare dal Consiglio Comunale unanime, contro Montegabbione, contro la Magistratura, contro lo Stato e le sue leggi, contro lo Stato e il suo governo pro tempore. Contro il buon senso. Questo è il senso della risposta data in Consiglio regionale alle interrogazioni sul pronto soccorso di Città della Pieve.
A rispondere alle interrogazioni dei consiglieri Valerio Mancini ed Emanuele Fiorini della Lega e M5s Maria Grazia Carbonari e Andrea Liberati del M5Stelle con cui le opposizioni chiedevano alla Regione di dare seguito a quanto deciso dai giudici amministrativi per quanto riguarda il Pronto Soccorso chiuso lo scorso anno a Città della Pieve è stato l’assessore Barberini, Così come avvenne sempre lo scorso anno in occasione della morte di una coppia di motociclisti tra Monteleone e Città della Pieve, rimasti per diverso tempo in attesa di soccorso, tempo che per l’assessore Barberini era stato pari a 16 minuti. Battuta che fece il giro del mondo. Pronto soccorso che era stato il punto di riferimento di una zona, individuata dalla legge come svantaggiata dal punto di vista geografico a confine tra le province di Perugia e di Terni e le regioni dell’Umbria e della Toscana, area che mal si comprime dentro gli angusti confini dentro cui si muove la burocrazia regionale.
Barberini rispondendo alle interrogazioni ha detto che “il servizio è garantito” e che ” la sentenza del Tar non può essere attuata”. Perché? Barberini, per conto della Regione Umbria sostiene che
«Quella sentenza – ha spiegato Barberini – non può essere attuata perché non esiste un pronto soccorso strutturato in senso clinico se non c’è dietro un ospedale vero e proprio. Per questo abbiamo presentato ricorso, per far capire che c’è una contraddittorietà nella sentenza del Tar, che riconosce la legittimità della chiusura di alcuni reparti e poi chiede un pronto soccorso che può esistere solo con un ospedale che lo sorregga». Secondo l’assessore «il Tar non ha tenuto conto che il soccorso e l’emergenza sono garantite» attraverso quello che è stato fatto nel corso del tempo, cioè «la creazione di un presidio di prima assistenza poi trasformato in punto di primo soccorso inserito nel dipartimento di emergenza della Asl 1, in collaborazione con Castiglione del Lago».
E qui l’assessore, e la Giunta non la raccontano giusta. Intanto perché gli argomenti vanno rivolti prima allo Stato ed al Governo e poi al Tar, che ne interpreta la legge. Perché è la legge dello stato che il Tar ha inteso difendere e applicare. Perché poi il Tar fa riferimento non ad una organizzazione sanitaria ed ospedaliera di tipo normale, ma fa riferimento ad una tipologia particolare di area geografica e di servizi ospedalieri conseguenti. E fa riferimento ad un pronto soccorso e non ad un soccorso o primo soccorso. Fa riferimento ad un pronto soccorso con un articolo specifico dedicato alle zone svantaggiate. Zone non individuate tali da un capriccio di un gruppo di buontemponi, ma dalla legislazione e da atti della stessa Regione. E cosa prevede la legislazione nazionale per queste zone? Quali tipi di servizi? Quali strutture ospedaliere? Quale tipo di pronto soccorso? Quello di cui parla Barberini? No, ma quello cui ha fatto riferimento il Comune di Montegabbione ed il suo sindaco Roncella nel ricorso al Tar. Quello che la Giustizia amministrativa regionale ha confermato e indicato alla Regione, a Barberini, alla Marini e ad Orlandi di realizzare. Quello che sta scritto in un italiano anche facilmente comprensibile nel DM 70/2015 con cui la Repubblica Italiana ed il suo Governo pro tempore, tracciano le linee che devono essere di riferimento alla programmazione delle Regioni. Quello riportato ieri in un nostro articolo a firma Esculapio. Ripubblichiamo nuovamente il testo:
9.2.2 Presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate
Le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere presidi ospedalieri di base per zone particolarmente disagiate, distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento (o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso), superando i tempi previsti per un servizio di emergenza efficace. I tempi devono essere definiti sulla base di oggettive tecniche di misurazione o di formale documentazione tecnica disponibile. Per centri hub and spoke si intendono anche quelli di regioni confinanti sulla base di accordi interregionali da sottoscriversi secondo le indicazioni contenute nel nuovo patto per la salute 2014-2016.
Tali situazioni esistono in molte regioni italiane per presidi situati in aree considerate geograficamente e meteorologicamente ostili o disagiate, tipicamente in ambiente montano o premontano con collegamenti di rete viaria complessi e conseguente dilatazione dei tempi, oppure in ambiente insulare.
Nella definizione di tali aree deve essere tenuto conto della presenza o meno di elisoccorso e di elisuperfici dedicate.
In tali presidi ospedalieri occorre garantire una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto, attività di medicina interna e di chirurgia generale ridotta. Essi sono strutture a basso volume di attività, con funzioni chirurgiche non prettamente di emergenza e con un numero di casi insufficiente per garantire la sicurezza delle prestazioni, il mantenimento delle competenze professionali e gli investimenti richiesti da una sanità moderna.
Tali strutture devono essere integrate nella rete ospedaliera di area disagiata e devono essere dotate indicativamente di:
– un reparto di 20 posti letto di medicina generale con un proprio organico di medici e infermieri;
– una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi in Day surgery o eventualmente in Week Surgery con la possibilità di appoggio nei letti di medicina (obiettivo massimo di 70% di occupazione dei posti letto per avere disponibilità dei casi imprevisti) per i casi che non possono essere dimessi in giornata; la copertura in pronta disponibilità, per il restante orario, da parte dell’equipe chirurgica garantisce un supporto specifico in casi risolvibili in loco;
– un pronto soccorso presidiato da un organico medico dedicato all’Emergenza-Urgenza, inquadrato nella disciplina specifica così come prevista dal D.M. 30.01.98 (Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza) e, da un punto di vista organizzativo, integrata alla struttura complessa del DEA di riferimento che garantisce il servizio e l’aggiornamento relativo.
E’ organizzata in particolare la possibilità di eseguire indagini radiologiche con trasmissione di immagine collegata in rete al centro hub o spoke più vicino, indagini laboratoristiche in pronto soccorso. E’ predisposto un protocollo che disciplini i trasporti secondari dall’Ospedale di zona particolarmente disagiata al centro spoke o hub. E’ prevista la presenza di una emoteca. Il personale deve essere assicurato a rotazione dall’ospedale hub o spoke più vicino.”
Quindi parliamo di un pronto soccorso particolare, non solo, ma aggiungiamo che, anche il riferimento all’Ospedale di Castiglione è un riferimento anomalo, perché la struttura sanitaria di Castiglione viene chiamata “ospedale” ma sappiamo tutti non avere le caratteristiche normative ed organizzative proprie di questo termine, sempre secondo i parametri nazionali. Così come spiegato ieri nel nostro articolo che ha dimostrato la non corrispondenza dei parametri nazionali con quelli umbri, per quanto riguarda tutta una serie di servizi ospedalieri e di pronto soccorso.
Ora dunque la Regione Umbria ha scelto la strada del ricorso, cioè ha scelto la strada dello scontro. Lo scontro dopo le prese di posizione di tutta la realtà politica ed istituzionale pievese. Dopo la grande partecipazione alle iniziative del Comitato per la Difesa della Salute. Dopo il silenzio dell’Unione dei Comuni, che ha segnalato sì la spaccatura sulla materia della zona, ma anche la drammatica sua inutilità di fronte al primo problema serio. Inutilità dannosa per i Comuni che ne fanno parte, ma anche per la Regione che ne dovrebbe favorire l’esistenza ed il lavoro unitario. Dopo l’iniziativa del Comune di Montegabbione che ha testimoniato della particolarità di una zona, l’alto Orvietano, che tra l’altro era già entrata in rotta di collisione con la Regione quando si è tentato di imporre, senza partecipazione alcuna, la realizzazione di un unico comune in tutta l’area. Una linea dello scontro, quella scelta, che al di là di tutte le specifiche tecniche, forse nasconde, purtroppo, solo pochezza politica ed istituzionale. (g.f)
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