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Elezioni 2018. L’ Umbria espugnata

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(Rassegna stampa). II dato nazionale Le elezioni del 4 marzo ci consegnano due forze politiche ormai sul viale di un lento ma inesorabile tramonto, Pd e Forza Italia; due in crescita, Lega e Movimento 5 stelle, ed una sinistra che delude le aspettative, sia Liberi e uguali che Potere al popolo; in conclusione un parlamento senza chiare maggioranze, un rischio di ingovernabilità. Questo è il frutto, tra l’altro, di una legge elettorale progettata e pensata per mettere fuori gioco il Movimento 5 stelle e che, per eterogenesi dei fini, si è ritorta esattamente contro i due principali artefici di questa macchinazione, Forza Italia e Partito democratico. Il dato più eclatante è sicuramente quello del Pd che con 6.134.727 voti (solo Italia Camera, Valle d’Aosta esclusa) arretra di 2.511.307 voti rispetto al risultato del 2013, scendendo dal 25,4% al 18,7%. Ancora più pesanti sono, però, le perdite di Forza Italia, che scende da 7.332.134 vori del 2013 a 4.590.774, lasciando sul campo 2.741.360 voti (dal 21,6% al 14,0%).

Questo cupo scenario cambia se dal risultato delle due forze politiche, si passa a quello delle coalizioni di riferimento. Per il centrosinistra le tre liste di appoggio (+Europa di Emma Bonino, Civica popolare di Lorenzin e Italia Europa Insieme), raccolgono 1.346.079 voti andando ben oltre il risultato ottenuto nel 2013 dalla lista di Centro democratico (314.128 voti). Grazie all’apporto di queste liste le perdite per la coalizione di centrosinistra sono sempre pesanti ma dai 2 milioni e mezzo del solo Pd si riducono a poco meno di un milione e mezzo di voti (dal 26,3% del 2013 al 22,8%, il risultato del centro sinistra 2013 è calcolato al netto di Sei), anche se il non superamento della soglia di sbarramento dell’ 1,0% per le liste Civica popolare di Lorenzin e Italia Europa Insieme ne vanifica il risultato in termini di apporto alla rappresentanza parlamentare.

Va invece decisamente meglio per il centrodestra che vede l’arretramento di Forza Italia più che compensato dall’avanzata delle altre tre componenti, a partire dalla Lega che ottiene 5.691.921 voti compiendo rispetto al 2013, un vero e proprio balzo in avanti di 4.301.387 (1.390.534 i voti nel 2013), passando dal 4,1% al 17,4%, superando Forza Italia e diventando cosi la prima forza della coalizione. Buono è il risultato di Fratelli d’Italia che con un incremento di 540.214 voti passano dal 2,6% al 4,4% (da 886.350 voti del 2013 delle liste Fratelli d’Italia e la Destra a 1.426.564 del 2018). In crescita anche Noi con l’Italia-Udc che sale dai 314.582 vori, ottenuti nel 2013 dalle 5 liste minori centriste della coalizione di centrodestra, a 428.298 (dallo 0,9% all’ l ,3%).

Nel complesso il centrodestra passa dal 29,2% al 37,0% e si posiziona come prima forza politica del Paese, staccando di 14,2 punti quella di centrosinistra. Il Movimento 5 stelle incrementa i propri consensi di circa 2 milioni di voti, passando da 8.691.406 voti del 2013 (25,6%) a 10.697.994 (32,7%), diventando il primo partito a livello nazionale. Da qui il busillis dei due vincitori, diretta conseguenza di una legge che spinge verso l’opzione coalizione nella parte uninominale (232 seggi Camera e 116 al Senato) ma prevede liste concorrenti nella parte plurinominale (389 seggi alla Camera e 193 al Senato). A questi vanno poi aggiunti i 12 seggi Camera e 6 Senato riservati al voto degli italiani all’estero, che vengono assegnati con metodo proporzionale e voto di preferenza; un evidente pasticcio senza fine. C’è tuttavia da sottolineare che con questa seconda e netta vittoria, il Movimento 5 stelle si accredita come attore politico, non più interpretabile come momento passeggero catalizzatore di tensioni di protesta (il movimento dei Vaffa) ma forza politica a tutto tondo con una sua precisa fisionomia e un forte radicamento territoriale.

E proprio sul piano territoriale il voto ci restituisce un’Italia dai contorni preunitari, nettamente divisa in due, con il meridione (Regno delle due Sicilie e Stato Pontifìcio) dove prevale nettamente il Movimento 5 stelle, con risultati che vanno dal 49,4% della Campania al 48,8% della Sicilia, a percentuali tutte al disopra del 44% in Puglia, Molise e Basilicata. Il centrodestra conquista tutto il Lombardo-Véneto ed il Regno sabaudo, attestandosi al 48,1% in Veneto, al 46,9% in Lombardia, al 40,8% m Piemonte, penetrando al centro con il 36,8% in Umbria, il 33,1% in Emilia Romagna. Il centrosinistra battuto ovunque regge solo nel Granducato di Toscana con il 33,7%, ma con un centrodestra al 32,1%, e, grazie all’apporto della Sudtiroler Volkspartei, in Trentino Alto Adige (43,4%). Si assiste alla scomparsa delle “regioni rosse” nelle quali i partiti di centrosinistra contano poco più del 30,0%, superati dalle liste di centrodestra. Questa netta divisione tra un Centro nord a maggioranza centrodestra ed un meridione a maggioranza 5 stelle non è casuale ma è da mettersi in rapporto con il tipo di proposte avanzate dai due schieramenti. Infatti se nella pars destruens i programmi dei due schieramenti sono abbastanza simili (abolizione e/o profonda revisione della legge Fornero e del Jobs act, blocco delle frontiere e rimpatri), in quella costruens, si differenziano in modo marcato. Centrodestra e e Lega in campagna elettorale hanno molto puntato sulla flat tax, forma di tassazione dei redditi regressiva che piace molto alle piccole imprese ed in generale ai percettori di redditi medi e medio alti, per lo più localizzati nel Centro nord. Vessillo dei 5 stelle è stata invece la proposta del reddito di cittadinanza, che interessa soprattutto le fasce più povere e i disoccupati, concentrati al sud. La lista di sinistra Liberi e uguali con 1.109.198 voti ottiene sostanzialmente gli stessi voti conquistati da Sei nel 2013, all’epoca alleata del Pd, attestandosi al 3,4% (3,2% Sel nel 2013), un risultato sicuramente deludente rispetto alle aspettative della vigilia, quando i sondaggi la davano tra il 5 ed il 6%, il che, peraltro, evidenzia nello specifico la scarsa presa sull’elettorato Pd delle ragioni della rottura operata dal gruppo Movimento Articolo 1 e, più in generale, dopo la sconfitta del 2008 della lista di Sinistra arcobaleno, una seria difficoltà a costruire un progetto di sinistra di dimensioni tali da andare oltre la pura testimonianza. Il superamento della soglia di sbarramento del 3% rende comunque possibile la presenza di una rappresentanza in Parlamento (14 deputati e 4 senatori). Infine passando alle componenti radicali di sinistra e destra si registrano, sempre rispetto al 2013, andamenti diversificati. Potere al popolo, Partito comunista. Per una sinistra rivoluzionaria, Lista del popolo per la Costituzione, nel complesso raccolgono 515.210 voti (1,6%), registrando rispetto al risultato 2013 di analoghe formazioni una perdita di 344.818 voti (40,1%). All’interno di questa galassia Potere al Popolo da sola conquista 370.320 voti pari ali’1,1%. Al contrario si assiste ad un allargamento dell’area di consenso della destra radicale (CasaPound e Italia agli italiani), che tra il 2013 ed il 2018 passa da 182.366 voti (0,5%) a 437.000 voti (1,3%), segnando un incremento attorno ai 250.000 voti, significativo ma non tale da consentire la conquista di una rappresentanza parlamentare. In conclusione nessuna forza politica raggiunge la maggioranza in Parlamento: il centrodestra può contare su 265 deputati e 137 senatori, i 5 stelle su 227 deputati e 112 senatori, nel mezzo il centrosinistra con 122 deputati e 60 senatori. C’è poi Leu con 14 deputati e 4 senatori e infine 2 senatori e 2 deputati eletti con Movimento associative italiani all’estero vicino al centrosinistra e con l’Unione sudamericana emigranti italiani di ispirazione centrista.

La situazione regionale In Umbria si sono recati alle urne 525.978 elettori, il 78,2%, superiore al 72,9% della media nazionale, ma inferiore al 79,5% delle precedenti politiche. Per la prima volta dal 2 giugno 1946, elezioni per la Costituente, le forze politiche di sinistra e centrosinistra non sono più maggioranza nella regione. Con 140.665 voti la coalizione di centrosinistra si attesta al 27,5%, 9,3 punti dietro il centrodestra che con 188.073 voti raggiunge il 36,8%. Il centrosinistra per soli 66 voti è superato anche dal Movimento 5 stelle che ottiene 140.731 voti (27,5%). Liberi e uguali con 15.215 voti arriva al 3,0%. All’interno del centrosinistra molto pesante è la sconfitta del Pd che con il 24,8% dei consensi (126.856 voti) non è più la prima forza politica, superato dal 27,5% dei 5 stelle e tallonato dal 20,2% della Lega. Rispetto al 2013, quando presero 168.726 voti, i democratici perdono 41.870 voti, un quarto del loro lettorato. L’arretramento rispetto al 2013 è di 7,3 punti precentuali, mezzo punto in più a quanto registrato a livello nazionale.

L’analisi dei flussi, condotta dal dipartimento di Economia dell’Università di Perugia, evidenzia che in realtà la perdita di elettori tra 2013 e 2018 per il Pd è decisamente più consistente; circa 70.000 voti, che vanno soprattutto in tré direzioni: Movimento 5 stelle (30.000 voti). Lega (oltre 17.000 voti) e non voto (16.000). Abbastanza marginale (attorno ai 2.500 voti) il voto in uscita a sinistra in direzione di Leu. Perdita parzialmente bilanciata da un flusso in entrata costituito da circa 22.000 elettori provenienti da Scelta civica e altre liste di centro del 2013. Questo ingresso di voti centristi, osservano i ricercatori dell’Università di Perugia, ha come conseguenza un “cambiamento significativo della composizione elettorale di questo partito” cui corrisponde un cambiamento di composizione sociale del corpo dell’elettorato democratico e “che verosimilmente contribuisce anche a rafforzare la tendenza verso un suo insediamento territoriale che privilegia le aree urbane piuttosto che le periferie e le zone rurali”. L’analisi dell’articolazione territoriale del voto (si veda più avanti) sembra confermare questa ipotesi. Nel complesso, tenendo presente anche l’apporto delle altre liste, che tutte assieme raccolgono 13.809 voti (2,7%), la coalizione di centrosinistra si attesta sul 27,5%, arretrando rispetto al 2013 di 29.573 vori, pari a 4,9 punti percentuali.

All’interno della coalizione di centrodestra non indifferenti sono le perdite di Forza Italia che quasi dimezza i consensi scendendo da 102.329 a 57.638 voti (-43,9%, -44.961 voti), passando dal 19,5% all’l 1,9%. Come nel caso del Pd, la perdita di voti tra il 2013 ed il 2018 è in realtà più consistente: 52.000 voti che si riversano in gran parte verso la Lega (circa 35.000) ed in misura molto più ridotta verso Fratelli d’Italia (6.000) e i 5 stelle (5.000); mentre i circa 8.000 voti in entrata provengono in buona parte dalle liste di centro presenti nel 2013.

Di fatto in questo 2018, a livello regionale come nazionale, si assiste alla “liquidazione” del polo di centro formatesi nel 2013 attorno alla figura dell’ex premier Mario Monti e che in Umbria con 50.555 voti si era attestato al 9,6%. Questi voti centristi sono rifluiti, quasi in parti eguali, nel Pd e in Forza Italia. In moderata crescita Fratelli d’Italia che passa dai 20.018 voti del 2013 a 25.146 (dal 3,8% al 4,9%, + 5.496 voti), mentre non va molto bene Noi con l’Italia-Udc, che con 2.503 voti (0,5%) ottiene meno della metà dei consensi raccolti nel 2013 dalla sola Udc (6.796), a conferma della crisi del progetto centrista. A compiere il grande balzo in avanti è la Lega che con 103.056 voti diventa anche in Umbria la forza principale del centrodestra (54,8% dell’intera coalizione). Rispetto al 2013 avanza di 99.975 voti, passando daU’0,6% al 20,1%. La Lega riesce a raggiungere questo risultato catalizzando sulla sua lista elettori di tutte le aree politiche, dai 5 stelle (28.000 voti) al Pd (17.500 voti), a Forza Italia (26.000), ma soprattutto è l’unica forza politica a sfondare il muro dell’astensionismo: dei 33 mila tornati al voto per queste elezioni, quasi 20 mila hanno infatti votato Lega. Il Movimento 5 stelle con 140.731 voti (27,5%) sostanzialmente resta inchiodato al risultato del 2013, migliorando di appena uno 0,3%, ma perdendo circa 2.228 voti. Nonostante questo calo, complice il crollo del Pd, diventa anche in Umbria la prima forza politica. I flussi in entrata, circa 40.000 voti, sono quasi tutti di provenienza Pd, in piccola parte da Forza Italia (5.000) e, significativamente, anche da sinistra (attorno ai 2.000 voti). Quelli in uscita vanno prevalentemente in direzione Lega (28.000) ma c’è anche un ritorno al non voto (circa 7.000). I 5 stelle, quindi, non solo continuano a non sfondare ma, a differenza di quanto evidenziato a livello nazionale, appaiono non ancora ben radicati piuttosto come “snodo di passaggio (ruolo di ‘traghettatore’) di elettori delusi provenienti da altri partiti (di entrambi gli schieramenti tradizionali)” e prevalentemente destinati alla Lega. Deludente il risultato di Liberi e uguali che con 15.215 voti si ferma al 3,0%, qualche decimo di punto al di sotto del dato medio nazionale, conquistando circa 1.557 voti in meno rispetto al risultato ottenuto dalla sola lista di Sei nel 2013. Potere al Popolo, ottiene 6.733 voti, pari all’ l ,3%. Se sommiamo i due risultati abbiamo un totale di 21.948 voti pari al 4,2%, che è pressapoco il risultato ottenuto nel 2008 dalla Sinistra arcobaleno (19.888 vori), incrementato di quel paio di migliaia di voti che l’analisi dei flussi indica come provenienti dal Pd, a significare che la sinistra in Umbria, dopo la sconfìtta del 2008, non è ancora riuscita a trovare una sua strada ed una sua dimensione. Sempre a sinistra il Partito comunista con 4.521 voti si attesta su una percentuale dello 0,9% nettamente superiore allo 0,3% nazionale. All’I ,32% (8.827 voti), percentuale superiore anche in questo caso al dato nazionale, si collocano le due liste di estrema destra, CasaPound e Italia agli Italiani. risultati a livello territoriale

La circoscrizione regionale Umbria è stata divisa in 3 collegi uninominali Camera (01 Perugia, 02 Foligno, 03 Terni) e due collegi uninominali Senato (01 Perugia, 02 Terni). In tutti vincono i candidati sostenuti dal centrodestra. Camera: Perugia 35,4% contro 30,3%, Foligno 37,4% contro 27,0%, Terni 37,5% contro 25,4%. Senato: Perugia 36,1% contro 29,8%, Terni 38,6% contro 25,7%. Si va da un distacco minimo di 5 punti, Perugia Camera, ad uno massimo di 12 punti. Terni Camera. Immaginando di sostituire il voto politico a quello amministrativo nei 16 centri umbri con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, il centrodestra risulterebbe al primo posto in 13 città: Assisi con il 43,2%, Bastía con il 38,6%, Città di Castello con il 40,8%, Corciano con il 35,4%, Foligno con il 33,3% (ma con un centrosinistra al 33,1%), Gualdo Tadino con il 41,2%, Marsciano con il 37,8%, Perugia con il 35,1%, Spoleto con il 33,6%, Todi con il 45,6%, Narni con il 36,6%, Orvieto con il 33,6% e Temi con il 362%. Il centrosinistra prevarrebbe solo a Castiglion del Lago con il 37,4% e Umberride con il 33,7% (tallonato da un centrodestra al 32,9%), mentre i 5 stelle sarebbero primi solo a Gubbio con il 36,7%. C’è inoltre da osservare che il centrosinistra arriva terzo in 6 comuni (Assisi, Bastia, Gualdo Tadino, Gubbio, Spoleto e Terni). In nessuno dei 16 comuni si avrebbe l’elezione del sindaco al primo turno e si dovrebbe ricorrere al ballottaggio, che comunque in 6 casi non vedrebbe la presenza di un candidato di centrodestra; negli altri, viste le passate esperienze, non sarebbe affatto facile la vittoria per il centrosinistra. Il quadro cambia se dal risultato di coalizione si passa a quello di lista. In questo caso i 5 stelle sono primo partito in 9 centri su 16: ad Assisi, Bastia, Foligno, Gualdo Tadino, Gubbio, Spoleto, Narni, Orvieto e Terni. Il Pd mantiene il primato in 6 centri: a Castiglion del Lago, Città di Castello, Corciano, Marsciano, Perugia ed Umberride, mentre alla Lega va Todi (26,9%). Nonostante questi risultati c’è comunque da osservare che nei centri maggiori il centrosinistra attestandosi sul 29,0% coglie un risultato decisamente migliore di quello relativo all’intera regione (27,5%) collocandosi al secondo posto dopo il centrodestra (36,0%) e prima dei 5 stelle (26,6%). Il che confermerebbe l’ipotesi prima avanzata di un insediamento dei democratici umbri che privilegia le aree urbane rispetto ai centri minori, alle aree rurali e periferiche.

Articolando il risultato elettorale per aree territoriali (i 12 comprensori economico-urbanistici della vecchia programmazione regionale) ad esclusione dell’area dell’Eugubino Gualdese, nella quale con il 34,6% prima forza politica sono i 5 stelle, in tutte le altre prevale il centrodestra: Alta valle del Tevere 38,5% contro il 30,3% del centrosinistra. Perugino 35,3% contro 30,8%, Assisi-Basria 41,0% contro 24,8% ed i 5 stelle al 26,8%, Folignate 36,1% contro il 29,8%, Trasimeno-Pievese 33,7% contro il 33,5%, Tuderre 41,2% contro il 26,3%, Spoletino 41,2% contro il 25,1%, Valnerina 50,3% contro il 23,7%, Orvietano 35,1% contro il 30,2%, Amerino Ñámese 39,5% contro il 24,4% ed i 5 stelle al 28,6%, Ternano 36,6% contro il 24,8% ed i 5 stelle al 29,8%.

La rappresentanza parlamentare Nel 2013 i 16 seggi spettanti all’Umbria (9 deputati e 7 senatori) erano così distribuiti: 9 al Pd (5 deputati e 4 senatori), 3 al Movimento 5 stelle (2 deputati ed 1 senatore), 2 al Partito della libertà (1 deputato ed 1 senatore) e 2 a Scelta civica-Monti (1 deputato ed 1 senatore). Nel 2018 la situazione risulta radicalmente modificata: 9 parlamentari vanno al centrodestra (4 senatori e 5 deputati), 4 al Pd (2 senatori e 2 deputati), al palo resta il Movimento 5 stelle con 2 deputati ed 1 senatore. Il voto del 4 marzo segna dunque per l’Umbria una sorta di deciso spartiacque: da territorio politicamente contendibile da parte del centrodestra, come si era manifestato già nelle tornate amministrative precedenti, a partire da quelle del 2014, a territorio espugnato. E’ interessante, e meriterà ulteriori riflessioni, che a battere il centrosinistra non sia stato innanzitutto il Movimento 5 stelle ma il centrodestra, seppur trainato dalla sua componente, almeno apparentemente, meno accomodante, la Lega.

Per cui dal voto esce sconfitto il Pd con il suo sistema di potere ma anche le vecchie componenti del centrodestra, da sempre interpreti a livello regionale di una sorta di “opposizione di sua maestà”. Al tempo stesso si assiste allo sfaldamento del blocco sociale di riferimento del Pd, che per altro ci ha messo del suo emarginando la componente socialista e i radicali. Ma su questo risultato pesa anche un disagio sociale profondo e diffuso di una regione che è entrata mal messa nel tunnel della crisi e rischia di uscirne peggio, che non trova risposte adeguate da parte del governo regionale, la cui azione pare essere tutta concentrata a nascondere la polvere sotto il tappeto, ma quando con la polvere ci sono anche le macerie l’operazione diventa più complicata. Certo la storia elettorale dell’Umbria ci insegna che una cosa è il voto politico, altra cosa è quello amministrativo, che vede le forze di centrosinistra posizionarsi su percentuali superiori ai risultati delle politiche, complice anche un marcato astensionismo di parte dell’elettorato di centrodestra. Pur tuttavia per gli inquilini di Palazzo Donini si preparano tempi molto difficili.

 

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