Ho conosciuto più da vicino Luciana Scattoni solo dopo che sono entrato a far parte del direttivo della Libuni, di cui lei è uno dei membri più attivi. Ma non mi ero accorto per nulla del dolore inimmaginabile che si portava dentro. Quel dolore di cui ha scritto nel suo libro “Appunti su Marco” e che verrà presentato nel prossimo appuntamento dei “Venerdì della Biblioteca”.
E’ la storia e le riflessioni di una madre, ma anche di una cittadina, dopo la morte del figlio Marco, catalogata come suicidio dagli organi competenti, ma ancora tutta da chiarire, a parere di molti, me compreso, circa le cause e le circostanze.
Una storia per tanta parte “nostra”, come terra, questa terra che sta nel ristretto fazzoletto tra Chiusi, Castiglione e Città della Pieve, dove vivono ed hanno lavorato i genitori di Marco.
Marco Massinelli aveva nel 2012, quando è morto, soltanto ventisei anni ed era maresciallo dei Carabinieri, in servizio presso la Caserma di Pegognaga, un piccolo paese nel mantovano, ai confini con il modenese, ma zona molto ricca dove pesa molto la zootecnia e la produzione di latte per il parmigiano in particolare.
Marco era ancora in licenza, a Castiglione del Lago, dopo un viaggio insieme ad alcuni amici fatto a Miami negli Stati Uniti, quando in piena notte decide di tornare a Pegognaga, nascondendo a tutti che la ripresa del servizio sarebbe stata due giorni dopo. Va in Autostrada fino al suo luogo di lavoro e poi, nella notte comincia a tornare indietro lungo la Via Emilia, arriva fino a Bologna, prende la strada che sale verso gli Appennini,verso il Passo della Futa, in direzione sud e la risale fino a Firenzuola, in Toscana, provincia di Firenze, dove il corpo privo di vita viene ritrovato cadavere in mezzo ad un bosco, ucciso da un colpo di pistola. Sette giorni dopo la sua scomparsa. Per la magistratura e per gli stessi Carabinieri, non ci sono dubbi, si tratta di suicidio.
Ma fra quanti conoscono Marco, fra, colleghi, amici e parenti, nessuno riesce a spiegare i motivi di quell’eventuale gesto.
Le indagini vengono subito chiuse ed il caso archiviato. Da allora più nulla. Più nulla ed indagini chiuse benchè non vi fosse nessuna traccia delle cause, nessun suo segnale a riguardo, benchè nel giro di pochi giorni a poca distanza di chilometri, nella stessa zona dove fu trovato il cadavere di Marco, si “suicidarono” senza apparente motivo altri due giovani carabinieri. Chiuse le indagini, nonostante Marco, nel suo viaggio, a ritroso verso l’Appennino toscano, avesse chattato per diverso tempo al computer, che verrà ritrovato molto tempo dopo, pressoché inutilizzabile, e prima di chiudere il profilo facebook avesse postato una canzone dei Pink Floyd che nel testo dice “…non ho paura di morire”. Paura di morire perché deciso a farlo, come probabilmente hanno interpretato gli inquirenti, o paura di morire perché si va verso un appuntamento a rischio, ma decisi a farlo, per coraggio o per necessità appunto? Questo interrogativo, a quanto pare, non è stato minimamente affrontato.
Chiuse le indagini anche fu segnalata, non nel libro, anche una relazione che Marco aveva avuto, sul piano sentimentale, e che lo avevano portato indirettamente, a contatto, con persone non proprio raccomandabili.
Luciana scrive di questo inestricabile rovello, di questa perdita, di questa ricerca di verità, ma anche di una ricerca di giustizia. Che non si può negare, in quanto ricerca di giustizia, a nessuno, tanto meno ad un figlio. Un “doveroso commento” come lei lo chiama.
E Luciana, tra l’altro, scrive bene. Rivelando a mio avviso, nel procedere doloroso del suo racconto e della sua introspezione, anche un talento sorprendente di scrittrice.
Ci sono quindi tutte le condizioni per partecipare a questo appuntamento con lei, con il suo libro, con suo figlio, con questa morta ancora non chiarita. Testimoniando l’interesse e la vicinanza da amici, ma anche da cittadini.
(g.f)