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Arriva il patto per l’autonomia di Marche e Umbria. In nome del terremoto. Auguri!

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Potrebbe essere un tema da mettere al centro dei congressi e delle primarie del Pd, partito di governo delle due regioni e del confronto elettorale nella prossima primavera, fra le diverse forze politiche.   La ricostruzione del giornale marchigiano da cui è tratto l’articolo fa ricadere la responsabilità sulla Toscana e sul presidente Rossi. Con argomenti alquanto deboli. E’ del tutto evidente che se si consolidasse questa unità di intenti con le Marche, senza la Toscana, per il Trasimeno, ma anche per l’Alto Orvietano i rischi di vedere aumentare una storica emarginazione aumenterebbero. (g.f)

Se la Macroregione Adriatico Ionica va avanti a scartamento ridotto, procede invece a grandi passi il patto Marche-Umbria in odore di autonomia. Le due regioni hanno inoltrato richiesta in forma congiunta al ministero per gli Affari Regionali ma stanno già lavorando insieme su parecchi fronti, dalla sanità (con l’istituzione del numero unico dell’emergenza) alle infrastrutture.

In principio infatti c’è stata la proposta di legge Morassut-Ranucci, che voleva stravolgere i confini delle regioni italiane. Era 1’8 ottobre 2015 e secondo la nuova geografia studiata dai due parlamentari del Pd, le Marche sarebbero finite all’interno della regione Adriatica assieme all’Abruzzo e a quattro province su cinque. Pesaro infatti era stata spostata ancora più a nord, inglobata nella regione dell’Emilia Romagna. La bizzarra riorganizzazione territoriale è risultata talmente indigesta ai marchigiani che nel giro di qualche mese, con il governatore Ceriscioli in prima linea, la Regione si è trovata a lanciare un nuovo patto socio economico a tre con Umbria e Toscana: l’Italia di mezzo, insomma.

Il progetto ha preso forma nel 2016 con il coinvolgimento dei rispettivi consigli regionali e strette di mano ufficiali tra Ceriscioli e i presidenti Rossi (Toscana) e Marini (Umbria). Un sodalizio forte, almeno all’apparenza. Almeno fino a quando dal Piano regionale di sviluppo della Toscana 2016/2020 è stato improvvisamente eliminato qualsiasi riferimento alla tanto sbandierata Macroregione: la notizia è passata sotto silenzio ma l’addio al Pd di Enrico Rossi per fondare il movimento articolo 1 Democratici e progressisti, ha avuto il suo peso specifico nel distacco improvviso.

Tolta la Toscana, parlare di macroregione sarebbe un azzardo, quantomeno in termini geografici. La nuova prospettiva dopo l’addio all’Italia di mezzo, è benvenuta autonomia, specie se in coppia con l’Umbria. Una regione che condivide con le Marche non solo i confini ma anche la profondissima ferita inferta dal terremoto. Le strade superveloci (la Perugia-Ancona e la Foligno-Civitanova) hanno dato lo sprint e i due governatori la scorsa estate hanno sottoscritto una lettera inviata al presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, nella quale scrivono che «la Regione Marche e la Regione Umbria hanno avviato, in parallelo, nell’anno 2018, il percorso previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione individuando in modo pressoché unitario le ulteriori forme e condizioni di autonomia».

Venerdì mattina, poi, il presidente del consiglio regionale Antonio Mastrovincenzo, ha riacceso la luce sul percorso verso l’autonomia durante l’incontro con il capo dello Stato, Sergio Mattarella: «L’idea è quella di recuperare la parte buona del federalismo solidale e responsabile – ha sottolineato Mastrovincenzo – e abbiamo rappresentato la nostra volontà al presidente della Repubblica. E’ una scommessa per rilanciare i territori e fare passi avanti nei settori strategici, senza perde re di vista la visione d’insieme».

 

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