di Alessandro Campi
Commissario straordinario Agenzia Umbria Ricerche
da AURS Semestale dell’Agenzia Regionale AUR
E’ stato pubblicato di recente l’ultimo numero della rivista semestrale di AUR, l’agenzia regionale dedicata alla ricerca. Ci è stato segnalato dall’amico Giuseppe Castellini. E’ il primo pubblicato sotto la nuova guida del professor Alberto Campi. Da una prima lettura dei titoli e dell’articolo di presentazione che pubblichiamo, ci sembra che si voglia dare a questa rivista anche l’obbiettivo di promuovere un confronto ampio sul futuro della nostra regione. Mai obbiettivo fu così condivisibile da parte nostra, che misureremo con una lente particolare, sempre dichiarata, che è quella dell’area territoriale umbra confinante con la Valdichiana toscana e che comprende il Trasimeno Pievese e l’Alto Orvietano. Pubblicheremo anche altri articoli, di questo numero e di questa rivista, contigui con le nostre problematiche, li discuteremo e ci auguriamo che anche i nostri lettori li discutano. Abbiamo un disperato bisogno di cambiamento. Un disperato bisogno di adeguatezza. Un disperato bisogno di confronto e di conoscenza.(g.f)
Cosa ne sarà dell’Umbria tra quindici o vent’anni? Quali saranno le sue caratteristiche salienti dal punto di vista socio-demografico, economico e politico-istituzionale? E, per essere estremi al limite del provocatorio, esisterà ancora una realtà politico-amministrativa così denominata?
La previsione, quando non si affida alla forza dei numeri e all’oggettività dei ragionamenti, rischia di trasformarsi in una sorta di arte divinatoria: un esercizio mentale effimero e altamente pericoloso, non foss’ altro per le smentite fattuali cui la futurologia è continuamente esposta. Ciò non toglie che un esercizio di fantasia rivolto verso un futuro per definizione incerto e sconosciuto rappresenti un rischio intellettuale entro certi limiti accettabile e persino, sul piano etico-intellettuale, necessario. L’immaginare come premessa del cambiare e dell’innovare: vale per la vita degli individui, vale per quella delle collettività organizzate. L’apertura al possibile, al non ancora, a ciò che potrebbe essere, è del resto quanto ci invita a provare una nobile tradizione letteraria: da Goethe
(“ Nella vita solo se si è pronti a considerare possibile l’impossibile si è in grado di scoprire qualcosa di nuovo ”) a Musil (“ Se il senso della realtà esiste… allora ci dev’essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità: la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere, e di non dare maggior importanza a quello che è, che a quello che non è”). Si guarda, ma senza illusionismi, a ciò che potrebbe e dovrebbe essere allorché ciò che è non soddisfa più. Quanto a creare davvero il futuro, dipende poi dalle nostre capacità e, come sempre, da una buona combinazione di mezzi e volontà.
Bene, il fascicolo che il lettore ha tra le mani rappresenta, almeno nelle intenzioni, un simile esercizio d’immaginazione in senso virtuoso e sperabilmente costruttivo. L’Umbria che verrà è il suo titolo e lo guida
l’idea che, essendosi ormai raggiunta da tempo una relativa concordanza sui molti fattori che stanno contribuendo alla stagnazione e al progressivo declino di questa parte d’Italia (concordanza di indicatori statistici prim’ancora che di interpretazioni), è forse venuto il tempo di chiedersi cosa fare per modificare lo status quo e per evitare che esso magari cambi, ma in peggio. Fotografare l’Umbria – conoscerla per ciò che essa è oggi – resta beninteso un esercizio necessario, ma non più sufficiente. Si rischia, oltre alla lamentazione su un tempo presente che ci angoscia, la ripetizione dell’ovvio o del già noto: le carenze infrastrutturali, l’isolamento fisico-geografico, l’invecchiamento progressivo della popolazione, l’esodo dei giovani, le lentezze della burocrazia, la mancanza di capitale e investimenti, lo spopolamento delle aree interne, il declino della grande industria, l’eccesso di impiego pubblico, ecc.
Laddove il problema vero di questa regione (al di là delle preferenze politiche soggettive) è semmai, giunti a questo punto, tutt’altro: più che incaponirsi sulle cose che non vanno, e che ormai conosciamo benissimo, ragionare piuttosto sulle soluzioni a questi mali, provare ad imboccare strade sinora non battute con l’obiettivo di favorire innovazione e nuovo sviluppo, dunque l’avvio di una stagione diversa necessariamente da quelle che abbiamo conosciuto. È una questione di risorse, ovviamente, di strumenti e mezzi, ma soprattutto e alla base di visione e progettualità: intese queste ultime non come attributi individuali, ma come un’attitudine collettiva, come una disposizione mentale che tanto più riesce facile da esercitare quanto più essa è pubblica e condivisa. Il futuro è comune e in comune andrebbe prima pensato e poi costruito.
Si tratta, in altre parole, di provare a immaginare il domani dell’Umbria – quello immediato e magari quello un po’ più lontano. Impegno che sarebbe stato necessario comunque, stante la stagnazione-regressione che questa regione sta conoscendo da qualche tempo, ma che la prolungata congiuntura pandemica ha reso a dir poco indispensabile e ineludibile. Su scala globale, ma ancor più (e forse persino più facilmente) nelle più ristrette dimensioni territoriali.
Pensiero comune e collettivo, dicevamo. Da qui la scelta di coinvolgere nella redazione di questo fascicolo monografico molte e differenti energie – professionali e intellettuali -, ad ognuna delle quali è stata posta una sola e semplice domanda: come immaginate, alla luce della vostra esperienza e delle vostre competenze, il futuro dell’Umbria? Appunto, l’Umbria che verrà, o che dovrebbe venire. Tema aperto (nonché vastissimo), svolgimento libero e anarchico. Nel senso che a tutti i partecipanti si è chiesto di esprimersi senza riserve, con la massima libertà, provando a fare uno sforzo creativo, sino a farsi trascinare dalla propria fantasia. L’audacia, anche un po’ visionaria, delle proposte non cozza necessariamente con la realtà che le rende, in quanto tali, impossibili. Se così fosse saremmo ancora all’età della pietra.
Queste le indicazioni e le intenzioni. Poi, come sempre accade, liberi gli invitati di attenersi ad esse. Qualcuno degli scriventi – detto con sincerità – si è fatto trattenere dal ruolo ricoperto, o forse dal timore di spingersi troppo oltre coi propri pensieri. Ma la gran parte di essi sono stati al gioco (e il gioco, quando se ne rispettano le regole, è sempre una cosa serissima e utile) e si sono lasciati andare: facendo proposte, dando suggerimenti, immaginando scenari, proponendo azioni e interventi, formulando idee di cambiamento. La formula che meglio incarna lo spirito con cui questo numero della rivista è stato concepito, l’ha azzeccata Paolo Belardi, il primo degli intervenuti (tale in ordine alfabetico, avendo la redazione scelto il criterio più semplice per allineare i diversi contributi), allorché ha scritto che ciò che occorre all’Umbria – come all’Italia e forse al mondo intero, soprattutto in questo momento – è un sano e consapevole “realismo visionario”. Torniamo così al possibile che nasce dal desiderabile (purché fattibile).
Questo fascicolo ha dunque il valore di un brainstorming, ma nero su bianco: scripta manent. Ma il nostro, al di là del merito e del valore di quanto prodotto e messo agli atti, sui quali giudicherà chi legge, è anche un metodo di lavoro: riflettere e discutere tutt’insieme, prima sulle colonne della rivista, poi sulla piazza pubblica (virtuale e reale) nella convinzione che ciò faccia bene non solo sul piano dello spirito civile, ma anche e soprattutto sul piano politico.
E siamo al punto. L’Agenzia Umbria Ricerche non è un circolo di pensiero o un’associazione culturale: è l’ente che per conto della Regione Umbria fa ricerca in campo economico-sociale, avendo alle spalle ormai una lunga storia, una consolidata esperienza e una riconosciuta professionalità. Produce dunque analisi a beneficio del decisore politico: ben conoscere per ben deliberare, secondo il noto insegnamento einaudiano contenuto nelle sue celebri Prediche inutili (mai in Italia titolo fu più amaramente azzeccato). A chi ha responsabilità di governo, non servono solo numeri, dati e tabelle, che presi in sé, se cioè interpretati in senso letterale o utilizzati per imbellettare qualche documento ufficiale, non hanno nulla di chiarificatore e risolutivo e infatti spesso vengono accantonati (o dimenticati) subito dopo essere stati superficialmente visionati e letti. Servono anche ragionamenti, indicazioni strategiche, idee progettuali, ipotesi di scenari, linee operative, proposte d’intervento ben modulate (obiettivi, costi, fattibilità, strumenti, tempi d’esecuzione, criteri di verifica, calcolo dei benefici e delle ricadute, previsione delle esternalità negative ecc.): da valutare, da soppesare, e tra le quali ovviamente poi scegliere e decidere secondo le necessità, le possibilità e tenuto conto di quanto pattuito con gli elettori o a essi promesso. La ricerca può essere rigorosa ma arida quanto alle risultanze, dunque politicamente e socialmente inutile. La progettualità, a sua volta, se sviluppata senza ancoraggi statistici e se sganciata dalle evidenze fattuali, rischia di risolversi in pura chiacchiera. Occorre equilibrio tra le due dimensioni: l’indagine empirico-conoscitiva e l’elaborazione critico- intellettuale, entrambe utili a chi ha nelle sue mani il potere di indirizzare una comunità verso una direzione o l’altra.
Ma accanto al conoscere e al deliberare c’è anche, come accennato, il discutere. Non può esservi un circolo chiuso tra la sfera politico- decisionale e quella tecnico-operativa, con quest’ultima che si limita a supportare le azioni della prima attraverso le proprie conoscenze. C’è un terzo attore da considerare, la società civile, che è poi il mondo reale: le imprese, l’università, l’associazionismo, i sindacati, gli istituti culturali, il mondo delle professioni liberali, ecc. Da ognuno di questi soggetti o attori possono venire spunti preziosi, purché tra i diversi livelli – quello istituzionale, quello sociale, quello economico-produttivo, quello scientifico-culturale – ci siano interazione e scambio. Le idee – specie quelle buone – hanno sempre molti padroni, difficilmente sono il frutto di un esercizio solitario e routinario. Una piccola società-comunità, qual è in fondo l’Umbria, più cresce e prospera quanto più è capace di confrontarsi al suo interno, di mettere a sistema tutte le energie di cui dispone. Se il dibattito a tutti i costi suscita ironie di ascendenza fantozziana, la discussione aperta e franca, dialettica e priva di remore ideologiche rappresenta invece qualcosa di salutare. Fa crescere chi se ne rende protagonista e diffonde semi che prima o poi da qualche parte germogliano. Magari alla fine non se ne ricava nulla, allorché le idee messe in campo dovessero risultare troppo divergenti o polarizzate, ma l’esperienza insegna che mediamente una sintesi tra vedute contrastanti si può sempre trovare. Prendere o lasciare non è mai una buona alternativa, specie nella dimensione politica. Quanto ai proponimenti troppo radicali o troppo audaci, si fa sempre in tempo a ricondurli nella sfera della ragionevolezza e della praticabilità.
Dunque, dialogo aperto con tutte le componenti sociali. Dunque, una politica che non decide dall’alto secondo i propri criteri (il dirigismo regionalista è una stagione finita per sempre), ma partendo dal basso, ascoltando la società nella sua naturale pluralità di organismi e forme organizzative. Dunque, una comunità regionale che, pur nelle legittime divisioni d’ordine politico-ideologico, prova a pensare sé stessa – e il proprio futuro – in modo cooperativo, comune e condiviso. Dunque, questo numero della rivista, cui altri ne seguiranno nel medesimo spirito e con le medesime intenzioni. Nella convinzione che già in questo primo fascicolo-esperimento siano state messe in campo, dai diversi autori, molte buone e interessanti idee, che si evita di elencare o accennare per non togliere a nessuno il piacere della lettura.
***
Per chiudere, riflessioni più prosaiche. L’Agenzia Umbria Ricerche ha operato per lunghi anni in regime commissariale, il che ha inevitabilmente inciso (in negativo) sulla sua capacità operativa e sulla sua stessa missione istituzionale. Difficile fare ricerca in campo socio- economico quando si opera a ranghi ridotti e in un clima di incertezza circa il proprio futuro. L’impulso politico dato dalla nuova Giunta regionale dopo il suo insediamento, direttamente dalla Presidente Donatella Tesei, è servito per provare ad uscire da questa condizione. Pur nel quadro di un processo di razionalizzazione e compressione delle spese che, insieme all’Aur, ha riguardato l’intera macchina regionale, si è deciso di riportare quest’ultima alla sua vocazione originaria, provando anzi a potenziarla.
Da qui, nel contesto di un nuovo e si spera ultimo commissariamento, l’avvio di un progetto di riordino che, a tappe veloci ma senza inutili strappi col passato, ha investito l’assetto organizzativo, il modello gestionale, le finalità operative istituzionali, la sua stessa ubicazione fisica (il trasferimento a Villa Umbra, in quel di Pila, dove già si trova la Scuola umbra di pubblica amministrazione, punta alla creazione di un polo regionale della formazione e della ricerca che si vorrebbe, e sarà, d’eccellenza) e la struttura comunicativa.
Proprio a quest’ultima dimensione appartiene il diverso taglio che si è inteso dare, a partire da questo fascicolo, allo storico semestrale dell’Agenzia. Che resterà, per ovvie ragioni, una pubblicazione scientifica, sulla quale ospitare le risultanze di studi e ricerche. Ma che, anche per ampliare il suo storico bacino d’utenza, sempre più intende proporsi alla stregua di una tribuna o d’un luogo di dibattito, al cui potenziamento contribuisce anche il nuovo sito istituzionale dell’Agenzia. E tutto ciò nel segno di quel pluralismo politico-valoriale che non sempre è stato, per dirla eufemisticamente, il tratto qualificante della cultura politica pubblica regionale. Le intenzioni, come si vede, sono buone e condivisibili. Quanto agli esiti, ci si dia del tempo prima di giudicarli.