Il 25 novembre all’interno della Giornta Mondiale contro la Violenza sulla Donna, su iniziativa dell’Associazione Donne la Rosa, e con la collaborazione del Comune, è stato intitolato a Città della Pieve, il locale “Punto di Ascolto” a Maria Teresa Bricca.
Ma chi era Maria Teresa Bricca? Molte giovani donne e uomini forse se lo chiederanno. Per rispondere a questa domanda e per rendere omaggio ad una nostra concittadina scomparsa in circostanze drammatiche, pubblichiamo il testo di due interventi che sono stati fatti nel corso dell’iniziativa parlando di lei. Quello di Benito Verdacchi, lo zio, che ha tracciato un ricordo familiare e privato, l’altro quello di Gianni Fanfano che ne ha ricostruito, invece, il percorso culturale e politico, nel contesto di Città della Pieve di fine anni sessanta primi settanta del secolo trascorso.
Benito Verdacchi
Gianni Fanfano
Quando Marina Barbino e Mirela Chionne mi hanno chiesto di ricordare la figura, di Teresa, della nostra amicizia e del nostro impegno comune, ho pensato che si trattava di atto dovuto
Dovuto da parte di Città della Pieve e dovuto da parte mia. Dovuto da parte mia per il significato ed il valore, per l’importanza del pezzo di strada che abbiamo fatto insieme, purtroppo breve.
Non da soli, ma insieme a diverse altre persone, uomini e donne qui a Città della Pieve, in uno dei momenti più appassionanti che la storia ha consentito di vivere ad una generazione di giovani.
Quella di Teresa si può definire una vita, una storia esemplare. La storia di una donna che cerca di costruire per se è per gli altri una vita piena e libera e questo suo tentativo, per la coerenza estrema con cui persegue questo obbiettivo, viene stroncato con violenza bestiale, una violenza che sta tutta dentro la cultura arcaica di una società che in tante sue parti si oppone ai percorsi di liberazione. Quello femminile, in primo luogo, ma non solo. E una vita, lo dico subito, non estranea, bensì interna e vissuta in modo progressivo, alle stesse tradizioni familiari, come poi dirò. Una famiglia con forte fede cattolica.
Purtroppo una vita troppo breve, soli 25 anni, ma sicuramente intensi e pieni di significato. Parliamo della fine degli anni sessanta e i primi anni settanta, anni di grandi cambiamenti in tutto il mondo Il mitico “sessantotto”. Gli anni della messa in discussione, in modo profondo e totale del sistema sociale che si stava costruendo dopo la seconda guerra mondiale. Un sistema che già allora denunciava ingiustizie profonde. Anni di critica che non conobbe confini, ad est come ad ovest.
Fu quello il livello più alto raggiunto nella lotta per una società ed un mondo migliori. Gli anni in cui i grandi poteri sembrarono vacillare. Con il mondo dei giovani che si affacciavano alla scuola, al sapere, alle professioni, in massa. La reazione del potere fu intelligente, potente e violenta. Gli interessi che erano messi in discussione usarono tutte le risorse ed in Italia portarono, poi alla uccisione di Moro. Assassinio perpetrato dalle Brigate Rosse, ma che vide protagonisti attivi anche i servizi segreti di tutte le potenze interessate a bloccare un esperimento pericoloso che metteva in discussione la divisone dl mondo sancita a Yalta.
Anche se con le sue piccole dimensioni anche Città della Pieve ha vissuto questi grandi avvenimenti
e Teresa fu in prima fila. A modo suo. Cioè riservata, apparentemente fragile, ma invece tenace, perseverante, a volte perfino dura, nel perseguire i suoi obbiettivi
Teresa veniva, come dicevo prima, da una famiglia profondamente religiosa, Il padre Bruno, falegname ed ebanista, era uscito dalla fucina di giovani impegnati nel lavoro e nello sport che organizzò, a cavallo delle seconda guerra mondiale, a Città della Pieve, don Luigi Periccioli, presso l’Oratorio di San Francesco.
A Città della Pieve il “sessantotto” si chiamò “Gruppo Camilo Torres”. Camilo Torres era un prete che portò fino alle estreme conseguenze i principi della “Teologia della Liberazione” una corrente di pensiero nata in America Latina che vide protagonisti anche Helder Camara e Luigi Boff. Una corrente nata nel solco della riflessione del Concilio vaticano II. E che tanto ricorda, anche alcune prese di posizione dell’attuale pontificato di Papa Bergoglio.
Un gruppo fortemente influenzato dalle esperienze della prima numerosa generazione pievese, che studiava fuori, nei licei, negli istituti superiori, nelle università. Fu un incontro tra cattolicesimo conciliare, teoria della liberazione, cattolicesimo democratico che si rifaceva a La Pira e a Maritain, e la sinistra laica, con la tradizione marxista, condita di umanesimo libertario.
Era un gruppo senza tessere, ma come funzionava allora tutto movimento e presenza. Qualche nome: Massimo Mangiabene, Sergio Selciarini, Gianni Fanfano, don Alvaro Rossi, Tina Mencucci, Daniela Cagnoni, Noemi Marroni e appunto Maria Teresa Bricca., con un ruolo importante, da esterno di don Oscar Carbonari, che da tempo frequentava Assisi, la Pro Civitate Cristiana, i suoi incontri ed i suoi corsi e che leggeva la sua rivista “La Rocca” e l’altro periodico di riferimento “Testimonianze” diretto da Padre David Maria Turoldo, il fondatore di “Nomadelfia”. Ma nell’aria c’era anche Don Milani e la sua “Barbiana”, don Ciotti e il suo “Isolotto”. C’erano le influenze di La Pira e Maritain, ricordate prima, ma anche di Dossetti e del primo don Sturzo.
La prima attività del Gruppo Camilo furono i “quadri murali” domenicali. Erano tazebao sui temi di attualità che mettevamo appoggiati a Palazzo della Corgna proprio davanti le scalette del Duomo.
Poi ci fu la pubblicazione di “Secondo Noi”, un giornale ciclostilato di cui uscirono due numeri, poi fummo denunciati, che metteva sotto osservazione critica gran parte della realtà pievese, ( l’Associazione Turistica, il PCI, la Chiesa, il circolo giovanile pievese, il Lyons Club )
Ma l’attività più significativa fu un ciclo di conferenze organizzate a San Francesco con i nomi più noti di allora sul fronte del cattolicesimo rinnovatore: ricordo padre Balducci, Dom Franzoni, Mario Gozzini, Livio Labor ex presidente Acli e che poi diede vita al Movimento Politico dei Lavoratori.
I ragazzi del “Camilo Torres” parteciparono anche alle elezioni di quegli anni. Quelle politiche del 1968 e quelle amministrative del 1970, quando a Città della Pieve fu presentata, contro PCI e PSI, la lista “Anno Zero” con candidato sindaco Piero Scricciolo. Fu una esperienza formativa per i giovani “camilini” che si fecero le ossa in tre bollenti assemblee organizzate dai maggiori partiti al Teatro e dove intervennero sparando a zero sulle responsabilità di tutti.
Maria Teresa era sempre presente, fu presente anche nell’ assemblea più calda quella organizzata appunto dalla DC e “Anno Zero” dove a darci una mano, nel palchetto assediato, c’era anche un giovane socialista di allora, si chiamava Daniele D’Ubaldo.
Ma Teresa si faceva notare anche per le letture che faceva. Facendo ragioneria a Chiusi, era particolarmente interessata dai temi economici, dalle analisi sull’assetto economico del capitalismo , fu lei che ricordo mi parlò per prima delle analisi di Paul Sweezy e della Montly Review, che erano autori e testi di moda nel mondo studentesco.
Si può dire che con il ‘70 l’esperienza del “Camilo Torres” andò esaurendosi, anche per la dispersione di alcuni protagonisti, impegnati negli studi in città diverse. Nel frattempo io nel 1971 ero entrato nel PCI. Maria Teresa sarebbe entrata poco dopo.
Ma oltre all’esperienza politica ci fu un altro momento che ci vide protagonisti insieme e insieme ad altri numerosi ragazzi e ragazze di Città della Pieve e di Chiusi. I ragazzi e le ragazze di Chiusi erano studenti del liceo scientifico a Città della Pieve. Pino Guccione, Teresa Feri, Silvana Giulivi e poi i pievesi, Teresa, Giorgio Galletti, Milvia Mencarelli, Anna Sargentini, Daniela Barzanti, Fabrizio Perugino, Nanni Galli, Giorgio Galletti, Massimo Mangiabene e forse ne dimentico altri.
Fu che dopo il colpo di stato militare in Cile e l’assassinio di Salvador Allende e di migliaia di cittadini, ad opera del generale Augusto Pinochet, in due mesi allestimmo uno spettacolo teatrale. Si intitolava “La muerte no acaba nada” da un verso di Neruda. Curai i testi insieme ad una mia ex insegante di filosofia Asteria Fiore. Maria Teresa recitò in tutti gli spettacoli che facemmo, a Città della Pieve, nel mitico Cimena Villa, a Moiano, a Perugia nella Sala dei Notari ed al Teatro di Città di Castello. E a tutte le impegnative prove che facevamo all’ultimo piano di Palazzo Orca in una stanza messa a disposizione dal Comune.
Teresa dette un contributo nella ricerca di testi anche di un secondo spettacolo che facemmo a Perugia “Scommettiamo sull’Uomo” con un gruppo di studenti del “Pieralli”, dove Asteria era andata ad insegnare .
Poi comincio un po’ per tutti l’appuntamento con il lavoro. Io nel 1975 diventai presidente del Comprensorio del Trasimeno, lei cominciò a fare concorsi e a vincerli. Come racconta lo zio Benito ne vinse uno in banca e uno in un istituto superiore di Città di Castello. Scelse il secondo.
Ricordo che quando tornava per il fine settimana da Città di Castello, l’appuntamento per il nostro gruppo , che era diventato un pezzo del PCI pievese era nel negozio da tappezziere di Piero Fallarino, accanto a quello da calzolaio.
Diversi anni dopo frequentai per motivi di lavoro Città di Castello. Ebbi modo di parlare con diverse persone di Maria Teresa e della sua tragica morte, avvenuta per mano di un boscaiolo che abitava nella sua stessa palazzina. Ma pur nel dolore che aveva colpito anche la città tifernate, capii che la sua brevissima vita era stata importante anche lì. Seppi del suo impegno a Città di Castello. Me ne parlò soprattutto Venanzio Nocchi, che è stato sindaco e poi assessore regionale. E mi disse di Teresa a Città di Castello, dei suoi interessi, nella politica e nelle iniziative culturali e musicali. Mi disse della perdita che anche quella città aveva vissuto.
Io vorrei ricordarla e salutarla con dei versi che penso le sarebbero piaciuti. Perché sono i versi che lei dedicò e recitò insieme ad altri ad Allende, nello spettacolo di cui ho parlato. Sono versi di Garcia Lorca , recitati in ginocchio, sulla scena, tutti vestiti a lutto, , davanti al cadavere, con due piccole licenze di aggiustamento
“…verrà l’autunno e verrà l’inverno
uve di nebbia e monti aggruppati,
ma nessuno potrà guardare i tuoi occhi,
perché tu sei morta per sempre,
come tutti i morti della terra,
…Ma io ti canto,
canto per dopo, il tuo profilo e la tua grazia,
la grande maturità della tua intelligenza,
la tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria.
Tarderà molto a nascere, se nasce
Una donna così pura, così ricca di speranza,
per questo io canto la tua eleganza,, con parole che gemono,
e ricordo una brezza, triste, tra i nostri ulivi.”