Meglio di no. Anzi sarebbe bene che lo Stato si riprendesse la gestione diretta di qualche settore. Abbiamo trattato spesso i temi del funzionamento della Regione e di come si sia mossa nel Trasimeno e nella nostra zona, su sanità, ospedali, Alta Velocità e infrastrutture, strade e collegamenti. Ma soprattutto destinazione delle risorse. Della sua dimensione inadeguata e sulla necessità di creare regioni più grandi per trattare e rapportarsi con l’Europa prima ancora che con l’Italia. Questa intervista che riportiamo integralmente, va in direzione completamente diversa. Chiede più poteri prima di diventare e di essere una regione seria e lo fa nella prospettiva dell’unione con le Marche soltanto. Nello stesso tempo gira la voce di una proposta di legge del PD nazionale che segue la stessa direzione Umbria e Marche insieme con Emilia e Toscana insieme. Vedremo le elezioni come andranno. Nel frattempo, se le cose stanno così, sarà il caso che ci prepariamo ad andarcene. (g.f)
Rassegna stampa. Dal Corriere dell’Umbria di Riccardo Regi
Su Sanità, scuola, tutela ambientale e protezione civile la Regione chiede di avere la gestione diretta
Marini – Umbria autonoma. A febbraio la richiesta per il governo Gentiloni
Su Sanità, scuola, tutela ambientale e protezione civile la Regione chiede di avere la gestione diretta Umbria autonoma A febbraio la richiesta per il governo Gentiloni.
La prima mossa della Regione Umbria, piuttosto che pensare alla macro regione, sarà quella di marcare maggiormente la propria identità. A febbraio con una delibera di giunta, avvalendosi dell’articolo 116 della Costituzione che garantisce maggiore autonomia alle Regioni virtuose, verrà chiesto a governo e parlamento di consentire la gestione diretta, ovvero amministrativa e finanziaria, su quattro fronti: sanità-salute, istruzione-formazione, tutela del territorio e dell’ambiente; protezione civile e gestione delle emergenze.
Marini. “Abbiamo lavorato bene – rivendica Catiuscia Marini -, i nostri conti sono in ordine, intendiamo percorrere la strada intrapresa da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto”.
Questo non vuoi dire abbandonare il progetto della macro regione, anzi è il punto di partenza irrinunciabile dal quale partire proprio per stringere alleanze trattando, per cosi dire, alla pari e con la consapevolezza di chi sa cosa e cosa rappresenta. Catiuscia Marini, del resto, è quella che ci ha creduto parecchio all’unione delle forze virtuose. Si potrebbe dire perché da un lato orgogliosamente consapevole delle dimensioni reali della sua Umbria che prescindono dalla popolazione residente ma non dall’identità e dalla storia, dall’altro perché la politica dell’alleanza con realtà confinanti connotate e strutturate garantisce interlocutori geo politicamente affini, economicamente dirompenti e culturalmente stimolanti. Come Toscana e Marche. Quella sorta di prototipo di macro regione si è formalmente costituita, del resto, il 15 giugno 2016 a Bruxelles, giorno in cui i governatori Luca Ceriscioli per le Marche, Enrico Rossi per la Toscana e Catiuscia Marini per l’Umbria hanno ratificato un accordo importante.
Marini. “Con questo atto – disse quel giorno Catiuscia Marini – diamo avvio ad un percorso comune che, utilizzando le norme di legge già in vigore, ci consentirà come Regioni di lavorare meglio in materie come sanità e welfare, processi di internazionalizzazione delle imprese, occupazione giovanile e altre ancora; di promuovere anche un brand che sappia valorizzare ciò che accomuna le nostre tre Regioni”.
Adesso, in quello che pare di capire potrebbe diventare il programma elettorale del Partito democratico per le prossime elezioni, il concetto principio delle macro regioni sembra destinato ad essere rilanciato. Premesso che l’esatta conformazione individuata dalla direzione Pd la conosceremo nel dettaglio solo quando verrà ufficializzata, sembra che il triangolo con la Toscana sia stato al momento escluso in favore di un più tradizionale matrimonio a due Umbria-Marche. E lei, Catiuscia Marini, che ne pensa?
Marini. “La prima cosa che ho sempre detto in tutte le sedi è che il dibattito sulle riforme delle Regioni, e dunque anche una eventuale discussione su una forma diversa della loro configurazione determinata da aggregazioni, fusioni e quant’altro, non può derivare da un dibattito che dall’alto viene calato in basso; quindi mi sono sempre opposta alle varie idee sia relative alla ricerca storicosociologica, vedi fondazione Agnelli, che politica vedi disegno di legge Morassut. Queste sono posizioni che pensano di ridefinire a tavolino la carta geopolitica e istituzionale dell’Italia. E’ follia perché, nel nostro caso, ci chiamiamo umbri prima ancora che i romani venissero qui a pensare di colonizzarci. Voglio dire che Umbria significa evocare tante cose importanti, da quelle culturali a quelle socio economiche, tutte con peculiari identità”.
Che metodo adottare, dunque, per l’ipotesi di macro regione? “Quello che indica la strada maestra, senza scorciatoie e che non può prescindere da un dibattito ampio e partecipato dei cittadini. Non dobbiamo avere paura del confronto, del resto il titolo quinto della Costituzione in merito alla costituzione delle Regioni è stato modificato più volte m questi cinquant’anni. E sicuramente la Regione del 2018 è molto diversa da quella del 1970. In più sono mutati in qualche caso anche i livelli istituzioni con cui rapportarsi. Basti pensare al ruolo dell’Europa, senza contare la riforma delle Province che ha ridisegnato a sua volta il ruolo stesso delle Regioni che si sono trovate a fare i conti, ahimè, con funzioni amministrative-gestionali su materie urbanistiche, ambientali, di formazione professionale che hanno modificato fortemente nel tempo i compiti stessi dell’ente. In sostanza faccio parte di quelli che pensano che l’istituzione va coerentemente e realisticamente adattata alle esigenze e agli obiettivi delle comunità. Ovvio che il dialogo con chi ci sta a fianco e ha affinità e interessi con noi, deve essere perseguito”. In effètti ci sono state alleanze dettate dalle circostanze di fatto, vedi la Quadrilatero…
Marini. “Certamente, proprio questo sarà l’anno decisivo perché con l’apertura anche della parte marchigiana della Perugia-Ancona si chiuderà finalmente un cerchio imprescindibile che per l’Umbria significa avere sbocchi sul mare, approdi nei porti delle Marche. E laddove una volta l’Appennino veniva visto come barriera, oggi è diventato punto di contatto e identità delle due regioni. Pensiamo ad esempio, nei servizi, all’ospedale di Fabriano e Gubbio. Per prime in Italia, Umbria e Marche gestiscono un servizio in comune che è quello dell’elisoccorso con risultati di efficienza e assistenza invidiabili. Lo faremo anche con il 112, numero unico per le emergenze”.
Capitolo Marche ok, ma la Toscana che fine ha fatto nel frattempo?
Marini. “Con la Toscana è necessario mantenere l’operatività. Diciamo che in questa fase è più ripiegata su questioni politiche e istituzionali che non operative e di collaborazione amministrativa, ma penso che la strada vada ripresa”.
L’alleanza dei territori è considerata da lei la maniera giusta per bussare alla porta di Bruxelles in modo da aprire porte importanti. In questo senso Umbria, Marche e Toscana avevano previsto la riduzione a un unico ‘sportello di servizio’. A che punto è?
Marini. “Abbiamo in concreto istituito la sede unica a Bruxelles, indubbiamente dobbiamo lavorare ancora per integrare maggiormente le strutture regionali. In parte stiamo facendo i conti con normative e burocrazia, è indubbio che c’è bisogno di lavorare di più insieme per garantire l’accesso e la gestione dei nuovi fondi strutturali che presuppone una politica regionale integrata”.
La filosofia di fondo che sta alla base dei territori coalizzati è quella di avere un maggiore peso nei confronti delle istituzioni. Su tutte quelle europee. Poi, come ricaduta virtuosa, sui gestori nazionali dei servizi essenziali allo sviluppo e su chi può determinare investimenti decisivi per opere pubbliche di interesse comune. In concreto l’enunciato in cosa si dovrà tradurre nell’immediato?
Marini.”Quadrilatero e Val di Chienti a parte che sono evidentemente opere fondamentali, ora Umbria e Marche devono lavorare all’adeguamento del sistema ferroviario. Siamo due regioni che fanno fatica ad essere collegate in maniera adeguata alla Capitale. L’ammodernamento e l’investimento nel doppio binario della Ancona-Orte e il potenziamento dei collegamenti ferroviari in generale con il Lazio sono la sfida dell’oggi e del domani nel prossimo decennio. Dobbiamo allacciarci al sistema ferroviario nazionale. Stesso discorso guardando verso Firenze, del resto. Poi il terremoto ci ha posto la questione infrastnitturale della Tre Valli: si deve rimettere all’ordine del giorno il collegamento tra il Piceno, la Valnerina, lo Spoletino e la Media Valle del Tevere fino al collegamento con la E 45. Questo non deve rimanere un sogno nel cassetto. E queste operazioni le possiamo fare solo collaborando tra le diverse Regioni. Se il terremoto fosse avvenuto dinvemo, le operazioni di soccorso sarebbero state complicatissime”.
La macro regione potrebbe determinare una caduta occupazionale visto che l’Umbria impiega molto personale negli enti pubblici?
Marini.”Tutt’altro, metteremmo a disposizione risorse per nuovi progetti e servizi, utilizzeremmo meglio le risorse professionali e umane che abbiamo per integrarle al meglio. Investiremmo meglio le nostre risorse”.
Terremoto: una prova dura per Umbria e Marche. Un punto di ulteriore unione forzata. “Conosciamo cosa abbiamo fatto e cosa dobbiamo ancora fare. Unire le nostre forze può senza dubbio aiutare entrambe le realtà. Penso a quanto è stato fatto, ad esempio, a livello mediático per riportare alla vita in senso letterale territori abbandonati per mesi dal flusso turistico che per i nostri territori è fondamentale. Tutto questo la dice lunga su cosa può portare la collaborazione, la sinergia. Questo matrimonio macro regionale, insomma, s’ha da fare e, nel caso, con chi e con quali invitati?
Marini. “Il dialogo avviato di fatto è con le Marche, è indubbio. Dobbiamo però continuare a confrontarci con la Toscana e guardare con sempre maggiore sinergia al Lazio perché c’è una connessione evidente tra la provincia di Temi e Orvieto con il Viterbese e con la capitale Roma. Fatto salvo che l’Umbria non può essere smembrata o divisa, ne il ridisegno istituzionale deve partire dal cambiare nome o inventarne altri improbabili. La modificazione degli assetti istituzionali non muta e tantomeno cancella la storia, ancora meno quella dell’Umbria. La realtà è che questi territori si metterebbero insieme non per gestire meglio inefficienze o per far quadrare in qualche modo i conti, che ne so della sanità, unendo debolezze, quanto invece portando in dote elementi di forza”.