Una intervista curata da Gianni Fanfano ad Alessandro Torrini, candidatosi alla segreteria regionale del Pd umbro.
(CP)Una delle cause della crisi più gettonata è quella della mancanza o inadeguatezza di una classe dirigente. Sia a livello economico, che a livello politico. Ci sono addirittura poi delle forze politiche che propongono l’elezione del Parlamento tramite sorteggio. Io credo che serva invece una democrazia rappresentativa, soprattutto in questa fase di non facile lettura dei percorsi e dei processi del potere, ed una classe dirigente selezionata allo scopo, anche a livello politico. Serva anche uscire da una deriva che è stata propria della seconda repubblica e che ha visto attingere prevalentemente, qui da noi, per la classe dirigente politica, dal pubblico impiego e dalla pubblica amministrazione. Settori in Italia non propriamente all’avanguardia nell’innovazione di processo, e di servizio.
Per fare tutto questo bisogna partire da cosa uno ha fatto o fa nella vita, cosa ha realizzato, cosa ha costruito, su quali obbiettivi personali, collettivi e generali si è impegnato.
Cominciamo quindi da qui. Quale è la storia professionale e politica di Alessandro Torrini?
(Torrini)Sono un figlio degli anni 50, nato in una numerosa famiglia contadina che ha vissuto in prima persona le lotte per l’emancipazione sociale. In famiglia e nel mio piccolo paese ho respirato fin da piccolo gli ideali di giustizia sociale e progresso che nel 1970, all’età di 15 anni, mi hanno portato a entrare nella FIGC. Forte di questa cultura e favorito dal contesto sociale e politico degli anni ‘70, quando sono entrato nel mondo del lavoro, prima come operaio e successivamente come tecnico di produzione della Perugina, mi sono avvicinato al sindacato divenendo delegato di fabbrica e portando le istanze mie e dei miei colleghi ai tavoli di trattativa con la proprietà e le associazioni datoriali. Un’esperienza formativa che mi è stata utile anche dal punto di vista professionale. Grazie ad essa, infatti, ho iniziato a comprendere la complessità della società e del mondo del lavoro e, di conseguenza, la necessità dell’ascolto delle ragioni altrui, della critica e dell’autocritica. Elementi questi che mi hanno accompagnato in tutto il percorso professionale successivo. Dopo quattordici anni in Perugina, infatti, sono entrato in un’azienda di logistica e trasporti, ricoprendo ruoli dirigenziali di crescente responsabilità. Pur interessandomi sempre alle questioni politiche e sociali, è soltanto alla fine degli anni ‘90 che ho iniziato a dedicarmi alla politica militante. Una scelta motivata esclusivamente dalla mia passione. Iscritto ai Democratici di Sinistra, nel 2000 sono stato eletto segretario di circolo nel mio paese, cinque anni dopo segretario comunale e nel 2011 segretario comprensoriale del Partito Democratico. È in questi anni e in queste vesti che ho vissuto in prima persona i primi duri scontri politici per affermare le mie idee: non essere riuscito ad affermare la centralità del Trasimeno nello scenario politico umbro, mi ha portato alle dimissioni dall’incarico.
Tu ti candidi alla segreteria regionale del Pd, nel mentre che si è appena usciti da un appuntamento elettorale referendario e amministrativo parziale molto importante. Mettiamo da una parte il referendum. Guardiamo il voto amministrativo. Il Pd diciamo che ha tenuto botta. E’ fallito l’assalto alla Toscana, ma il Pd non può però cantare vittoria, perché anche il mantenimento di Campania e Puglia si basa più che altro sulle caratteristiche e diciamo gli apporti personali di Emiliano e De Luca. Il dominio del centro destra nel Nord è diventato, Emilia esclusa, ancora più forte. E l’alleato di governo sta sparendo dai territori. Come vedi la situazione complessiva del tuo partito?
Il giorno dopo del voto, tutti i partiti dichiarano di aver vinto. Lo stesso ha fatto il mio partito nonostante la perdita di una regione importante come le Marche. Il Partito Democratico è in questo momento l’argine a una pericolosa deriva populista e sovranista; è il partito che in questo momento tanto difficile, rassicura i cittadini italiani per senso di responsabilità e qualità dei propri uomini, per il rispetto che l’Europa ci riserva. Sono soddisfatto? No, io credo che per il Partito Democratico sia giunto il momento di ridefinire le proprie opzioni strategiche, il proprio progetto di Paese, le priorità e le alleanze, rafforzando così la leadership del nostro segretario, alle prese con continue fibrillazioni interne. Adesso che in Italia arriveranno così tante risorse dall’Europa, devono essere operate scelte che siano in grado, unitamente alla riattivazione della crescita economica, di riequilibrare il divario che anni di politiche sociali ed economiche squilibrate a favore dei soggetti più forti hanno prodotto nel tessuto della società.
Ti candidi alla segreteria regionale del Pd. Lo hai già fatto in altre sedi. Vuoi riassumere i motivo principali di questa candidatura?
Arrivato sei mesi fa, all’età di 65 anni, alla quiescenza, non avrei immaginato di rimmergermi nella politica attiva. Dopo diciotto mesi di commissariamento del mio partito, avrei immaginato un congresso straordinario, sperimentale, progettuale, plurale e inclusivo, di azzeramento di tutti i livelli e di ricomposizione. Lo statuto nazionale e il regolamento regionale hanno imposto invece un percorso diverso, per l’ennesima volta competitivo e parziale. Io credo in un partito che tenga distinto il ruolo politico da quello istituzionale, che selezioni la miglior classe dirigente dal confronto delle idee e non dallo scontro tra autocandidature muscolari che producono solo ferite difficili poi da rimarginare. È la storia di dodici anni d’insuccessi del nostro partito che ci dice di cambiare e di fermarci. Dal 2008, anno in cui è nato il PD, abbiamo fatto quattro scissioni e cambiato sette segretari nazionali di cui due hanno formato due nuovi partiti. Mi candido perché amo la politica per la politica, per affermare una nuova idea di partito, perché ritengo che la mia esperienza di vita, professionale e politica sia utile all’Umbria.
Nel Pd è la prima volta di un lacustre. Una delle prime volte che uomini o donne di questa area storicamente legata alla sinistra, si ritengono in grado o come valeva per il passato, sono ritenuti in grado di guidare un partito. Non stanno meglio messi nemmeno gli altri partiti. Qual è secondo te la maledizione che, in questo senso, ha perseguitato quest’area e quale potrebbe essere oggi la ragione per cui questa scelta diventa più interessante di altre. Solo perché altrove hanno dimostrato, da qualche tempo, di non saper vincere?
La mia non è una candidatura lacustre. La mia è un’autocandidatura al pari delle altre, per guidare il PD umbro. Sono orgogliosamente un uomo del Trasimeno, ma l’Umbria è così piccola che non può dividersi su questioni territoriali. L’Umbria dei territori deve trovare rappresentanza politica e istituzionale, ma dentro un quadro di coesione e inclusione, non di contrapposizioni tra territori, fuori dal tempo. Il Trasimeno, se lo vorrà, ha oggi l’opportunità di scegliere un suo uomo. Io mi sono messo a disposizione per quello che potrò fare, con entusiasmo e generosità, ma anche le cose che sembrano semplici in politica diventano difficili e al Trasimeno montagne insormontabili.
In alcuni ambienti, da un punto di vista economico, ma non solo, vedi la recente vicenda dell’Università per Stranieri, si considera ormai l’Umbria parte del Sud. Cosa ne pensi e da dove dovrebbe ripartire questa regione?
Questa regione non può che ripartire da chi pensa e chi lavora, mettendo a valore i suoi uomini migliori. Hai citato l’università, ecco, io credo che proprio l’università debba tornare a essere il volano della rinascita e dello sviluppo della nostra regione, aiutando la comunità tutta a uscire dal provincialismo nel quale è scivolata o, forse, dal quale non è mai uscita. Ma serve coraggio e apertura, quello che è mancato fino a oggi. Non ci sono soluzioni miracolistiche per invertire un ciclo di decadimento avviato ormai da tantissimi anni. Non è una banalità continuare a ripetere che ci salveremo solo facendo qualità e innovazione, sia sul pubblico che sul privato. La globalizzazione impone a tutti alti investimenti in ricerca e sviluppo, reti commerciali adeguate, organizzazione efficace e alti livelli di produttività. La crescita dimensionale delle nostre imprese, in tutti i comparti della produzione e dei servizi, le economie di scala, sono indispensabili. Istituzioni, organizzazioni datoriali e mediatori sociali si mettano in testa che non ci potrà essere futuro eludendo questi problemi. Serve però visione, capacità, coraggio e tempo
Settanta anni di regionalismo, settanta anni di regionalismo rosso. Di chi è cominciata prima la crisi, quella delle delle Regioni o quella della sinistra umbra?
Io credo che fare ragionamenti retrospettivi non serva, ma il declino della nostra regione è indubbio e numerose sono le cause. Il sistema istituzionale, al pari di quello produttivo, dovrà essere ripensato, servirà un lavoro immenso al quale non siamo più abituati. Tutti vorremmo soluzioni miracolistiche e risultati immediati, ma purtroppo non credo che sia possibile. Tutto passa attraverso un cambio di mentalità, di diverso approccio ai problemi, di qualità della classe dirigente che, non dimentichiamolo, è quella che la nostra società produce. Cambiare un Paese ha tempi lunghi; per cambiare un Paese bisogna cambiare i propri uomini ed è prima di tutto un processo culturale. Attrezziamoci quindi per resistere.
Ma in questi decenni, secondo te, l’Umbria è riuscita a creare le dimensioni economico produttive, dei sistemi infrastrutturali, per poter reggere la competizione fra aree, che ormai domina ogni scenario a cominciare da quello europeo?
Ho risposto in precedenza a questa giusta osservazione
Allora mi spiego meglio, come vedi le ipotesi di cui si parla, anche dopo il coronavirus, mi sembra che ne abbia parlato Bonaccini di un accorpamento delle Regioni anche per reggere meglio il confronto a livello europeo e internazionale? Si è parlato dell’Italia di Mezzo…
Io credo che l’architettura istituzionale del Paese debba essere profondamente ripensata. Il regionalismo e le successive modifiche costituzionali stanno mostrando i propri limiti. La riforma delle Province ha peggiorato e non migliorato il governo dei territori. Le Unioni dei Comuni, anche là dove incentivate, non fanno passi avanti e se ne percepiscono spesso più i limiti che i vantaggi. Le Regioni, da enti legislativi, sono diventate sempre più organi pesanti di governo e, anziché essere strutture leggere che dovevano privilegiare il decentramento verso i territori, hanno accentrato su di sé poteri e gestione. L’Europa, alla quale i governi cedono necessariamente fette crescenti di sovranità, è sempre più il luogo delle decisioni strategiche e le regioni sono i soggetti destinati a produrre i progetti e gestire i fondi. È quello il livello con il quale dobbiamo interagire e rispondere con capacità progettuale e gestionale. La gestione della complessità e la capacità organizzativa, le competenze e le capacità individuali faranno la differenza. “Piccolo è bello” è uno slogan che appartiene più al romanticismo del passato che ad affrontare le sfide del futuro. Detto questo, quindi, senza improvvisare, la macro regione è una delle opzioni auspicabili, da tempo immaginate. A quel punto, andrebbero ripensati anche agli organi intermedi di governo delle aree vaste e gli stessi enti locali, il luogo dove si scaricano le aspettative dei cittadini. Su quest’ultimi, spesso colpevolmente e ingiustamente umiliati, ci sarebbe d’aprire un capitolo a parte altrettanto importante. Sono temi talmente complessi che, se affrontati con superficialità, rischiano di fare la fine nefasta della riforma delle Province: abbiamo tagliato la rappresentanza istituzionale e lasciato il resto invariato. Per cui: fare bene, non in fretta, questa è la sfida.
Nelle tue dichiarazioni per la candidatura si può dire che hai parlato prevalentemente di “partito”. Che partito ha in testa Torrini ed a quale partito lavorerebbe?
Ho in testa un partito che faccia il partito, cioè il ruolo che la Costituzione gli assegna nella gerarchia “cittadini – partito – istituzioni”. Prima i partiti e la politica che interpretano il volere dei cittadini, poi le istituzioni e il governo. Non tutto ciò che appartiene al secolo scorso è da buttare. Anzi. Stiamo assistendo continuamente alla subalternità della politica rispetto alle compatibilità proprie della governance. Il partito è prima di tutto un’associazione di tipo culturale, di uomini e donne che condividono stessi ideali.
Il partito devo tornare a essere il luogo di selezione e formazione della classe dirigente. Il partito, pur nell’era della comunicazione, del web, del tutto e subito, non deve rinunciare a svolgere anche un ruolo di tipo pedagogico: non il partito-chiesa o il partito-società, ma neanche il partito che aggreghi solo interessi, non il partito dei comitati elettorali attivati dai singoli.
E allora la missione per il partito che ho in testa e che vorrei è: organizzazione, selezione, formazione, studio; utilizzando i mezzi della contemporaneità, ma senza rinunciare ai valori etici e culturali della nostra storia, un patrimonio da custodire con grande cura. In questi anni, senza partiti e senza politica, ho visto solo il grande declino della classe dirigente del paese. E i risultati sono noti.
Dopo una elezione si chiede in genere cosa si vorrebbe fare nei primi 100 giorni. Ultimamente i tempi si sono accorciati e quindi si chiede dove andresti, magari a chi faresti visita dopo una tua vittoria, da segretario regionale del Pd?
I simboli hanno una grande importanza. Vorrei incontrare i frati di Assisi, pur avendo una cultura laica, i magnifici rettori delle nostre Università, i rappresentanti dei lavoratori, delle associazioni datoriali e di categoria.
Ridare ruolo ai corpi intermedi dopo il tentativo di umiliarli, per me ha un significato grande.
Grazie e allora tanti auguri!